Signore e Signori, ecco a voi le stelle della moda. No, non parliamo di stilisti; e nemmeno di super-models. Parliamo delle creazioni stesse, ovvero del prodotto del genio dei grandissimi del fashion-system. Ergo, raccontiamo quegli abiti iconici che hanno fatto (e continuano a fere!) la storia della moda.
Alcune creazioni infatti sono più di semplici abiti, si tratta di autentiche pietre miliari che hanno saputo tracciare un percorso che ci ha condotti fino a qui. Sono pezzi rivoluzionari, autentiche proiezioni della situazione storica e culturale del momento; ma soprattutto intuizioni in grado talvolta di farci sognare, talvolta di raccontare e di supportare la donna stessa. Passo dopo passo, traguardo dopo traguardo.
Che si tratti di abiti di “uso quotidiano” o di long dresses da red carpet, non importa: hanno tutti in comune l’unicità e il genio di chi li ha creati ed hanno indiscutibilmente elevato il concetto di moda, consacrandola come arte.
Questo piccolo viaggio vuole dunque raccontare quei classici senza tempo che hanno saputo segnare i momenti catartici del fashion a colpi di innovazione, visione e buon gusto. E che ancora oggi fanno fantasticare ad occhi aperti. E tu, quanti ne conosci (davvero)?
Il tailleur Chanel
Un tailleur classe 1923. Niente male per un modello che sa stregare le più attente in fatto di stile oggi come ieri! Parliamo ovviamente del classico tailleur in tweed - nato dall’inconfondibile genio di Mademoiselle Coco Chanel - un capo che sa ancora imporsi come autentico “mai più senza” dei guardaroba più chic. Uno degli abiti iconici per eccellenza senza ombra di dubbio.
La prima intuizione di una ancora giovanissima Coco, arriva già qualche anno prima – per la precisione nel 1917 - quando inizia a pensare a una donna elegante ma anche pratica, indipendente e dinamica. Inizialmente il modello viene realizzato in comodo jersey, ma manca ancora un elemento per trasformare un’idea perfetta in autentica rivoluzione. Questo “quid” in più è ovviamente il tweed, tessuto col quale Mademoiselle Chanel incrocia la propria strada all'inizio degli anni 20 del secolo scorso e che si rivela immediatamente l’ideale per confezionare il completo giacca-gonna più geniale di sempre.
Inizialmente presentato a un ristretto gruppo di giornalisti, non ottiene immediatamente il successo sperato dalla visionaria Chanel, e racimola appena una menzione fugace nelle successive recensioni. Ma dal dopoguerra è tutta un’altra storia: il tailleur diviene un grande successo e da allora (matchato e rivisitato sapientemente) non ci ha più abbandonate.
L’abito Aragosta di Elsa Schiaparelli
Non si può parlare di abiti iconici senza citare almeno una creazione di colei che è sempre stata considerata la risposta italiana a Coco Chanel: Elsa Schiaparelli. E non si può parlare di Elsa Schiaparelli senza nominare il suo famosissimo abito Aragosta, il cui motivo spregiudicato e apertamente legato alla sfera sessuale femminile segna un sodalizio unico nel suo genere tra l’arte surrealista e la moda.
Come? Grazie alla collaborazione eccellente (ed eccezionale!) tra Salvador Dalì e la Schiaparelli stessa, che nel 1937 dà vita a un lungo abito in organza bianca (modello per tradizione accostato alle spose) decorato con una grossa aragosta rossa (simbolo evocativo di sessualità per il quale Dalì ha sempre nutrito una vera e propria ossessione). Inutile dire che la provocazione diviene immediatamente un grande successo, tanto da portare l’abito sulle copertine dei più celebri magazine di moda.
La giacca Bar di Dior
La storia della giacca più iconica di sempre ha inizio nel febbraio del 1947, al numero 30 di avenue Montaigne, in una Parigi piena di voglia di rivalsa.
La guerra ha appena avuto fine e la gente ha un desiderio profondo di libertà e bellezza. Ha voglia di “nuovo” e di lasciarsi alle spalle le brutture di un periodo buio. La risposta della moda a queste esigenze? Il New Look. E quando parliamo di New Look – si sa – parliamo di Christian Dior.
Ma andiamo con ordine. Interno giorno, passerella: è in corso la presentazione della prima collezione di Dior, quando fa la sua comparsa una giacca dal taglio completamente innovativo. Si tratta di un modello strizzato sul punto vita e con le spalle ampie, da portare rigorosamente su gonne “a palloncino” o “a ruota”.
Questa mise lascia letteralmente a bocca aperta i presenti, tanto da far esclamare all’inviata di Harper’s Bazaar la celebre frase che darà il nome alle nuove linee simbolo di rinascita e genio creativo: “It’s such a new look!”.
Tutto il resto – ovviamente – è storia.
Il tubino nero di Givenchy
Più che un abito, una star. Parliamo del celebre little black dress di Givenchy, da noi noto come tubino nero.
Disegnato per l’appunto dal Conte Hubert de Givenchy, viene reso famoso dalla sua musa ispiratrice per eccellenza Audrey Hepburn nel film “Colazione da Tiffany” (1961).
Dalla sua comparsa sullo schermo una cosa è immediatamente chiara a tutti: è la perfezione fatta abito. E come non essere d’accordo? Si tratta di un modello talmente iconico – basico, elegante e femminile - che negli anni ha saputo trovare innumerevoli declinazioni e chiavi di lettura. Senza mai perdere la sua identità.
Il Mondrian Dress di Yves Saint Laurent
Arte chiama arte, lo abbiamo già visto. Ebbene, siamo ancora negli sfavillanti anni 60 e il genio eclettico di Yves Saint Laurent è a caccia di idee che possano raccontare un nuovo concetto di femminile. Ed è così che – incantato dalle linee e dai colori di Mondrian – decide di fare proprio di un abito la sua tela.
Nel 1965 nasce dunque il celebre Mondrian
Dress, una creazione dalle linee pulite in lana e jersey che si serve
dell’espediente grafico per nascondere le cuciture. In una parola: geniale!
Lo smoking Tuxedo di Yves Saint Laurent
Yves Saint Laurent. Sì, ancora lui! Siamo nel 1966 e fino ad ora nessuno aveva mai pensato di vestire una donna in smoking. O con pantaloni e blazer in generale. Fino ad ora, appunto.
Il genio del designer e couturier francese decide infatti di fare un’incursione nel guardaroba maschile per creare un modello talmente iconico da essere costantemente presente persino sui red carpet più recenti e importanti (ultimo avvistamento di un Tuxedo proprio su quello del Festival del Cinema di Venezia).
Siamo nei favolosi Sixties e – quello di Saint Laurent – è molto più di un giro di vite nella moda, è un vero atto rivoluzionario. Quasi una provocazione. In questo momento infatti la vera protagonista sulla scena è senza dubbio la gonna (anzi, la minigonna), simbolo indiscusso di emancipazione femminile e di libertà. Ma il pantalone no, quello appare ancora tremendamente sconveniente per una signora, specie per le occasioni più eleganti.
E invece nel 1967 il celebre stilista fa indossare il suo smoking Tuxedo a un’icona come Catherine Deneuve e tutto cambia, a tal punto che se oggi abbiamo un’alternativa al long dress per gli eventi più mondani lo dobbiamo solo a lui.
L’abito in maglia di Missoni
Siamo nel 1969, anno in cui la vera rivoluzione riguarda la maglieria.
Dopo aver sdoganato un nuovo concetto di maglia nel corso degli anni ’60 attraverso fantasie visionarie e assolutamente uniche, Missoni (e chi se no?) è infatti pronto ad evolverlo e a spingersi un po’ più in là.
Ecco dunque nascere qualcosa di mai visto prima: l’abito in maglia.
Si tratta di un vestito comodo e pratico, proposto – secondo il DNA Missoni - in chiave multicolor, pensato per una donna pratica e dinamica.
Il wrap-dress di Diane Von Fürstenberg
Il wrap dress – aka l’abito a vestaglia - fa il suo debutto nel 1972 grazie ad una geniale intuizione di Diane Von Fürstenberg. Ed è subito rivoluzione.
L’intento della stilista è quello infatti di raccontare (e vestire!) un nuovo concetto di femminile attraverso la realizzazione di un abito in grado di rappresentare “il simbolo sartoriale della liberazione sessuale delle donne”.
Si tratta di un capo chic e comodo
nel medesimo tempo, capace di vestire una donna con un unico gesto.
Decisamente un giro di vite che ha segnato e continua a segnare moltissimi guardaroba.
Lo slip-dress di Calvin Klein
Tecnica, arte e mestiere. Ecco tutto ciò che si cela dietro ad uno degli abiti cult degli anni ’90, ovvero l’erede naturale del classico tubino nero. Parliamo ovviamente dello slip-dress, creato da Calvin Klein.
Si tratta di un modello talmente versatile e femminile da diventare immediatamente protagonista, così dei party più esclusivi come dei nineties in generale.
È una vera e propria sottoveste, sdoganata anche fuori dalla camera da letto e catapultata sulle passerelle dal famosissimo stilista e imprenditore americano. Oggi lo slip-dress è un pezzo chiave per molti guardaroba e si pone come base ideale per rivisitazioni originali e interpretazioni personali di uno tra i più autentici degli abiti iconici.
L’abito “vintage” bianco e nero di Valentino
Un pezzo che rappresenta secondo i più uno dei momenti più scintillanti della splendida carriera di Valentino. Non possiamo davvero esimerci dal citarlo! Si tratta di un long dress nero con inserti bianchi dalla linea pulita e raffinata, disegnato dallo stilista italiano con l’intento specifico di riportare sui red carpet lo stile delle grandi dive della vecchia Hollywood.
L’abito viene indossato nel 2001 da una raggiante Julia Roberts durante la cerimonia degli Oscar, dove vince la statuetta come miglior attrice per il film “Erin Brockovich”.
Ebbene, nell’istante esatto in cui la splendida Julia sale sul palco, il mondo – già incantato dal sorriso della bella attrice – si innamora perdutamente anche della creazione di Valentino e il long-dress passa alla storia, tanto da essere considerato uno degli abiti più iconici di sempre ad aver calcato il red carpet più ambito del mondo.
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