Fashion culture

Empowerment femminile e moda: i capi che hanno fatto la storia

Empowerment femminile
07-03-2022
Dall'anticorsetto ai primi pantaloni, dalla minigonna allo smoking, un viaggio attraverso gli indumenti che simboleggiano l'emancipazione delle donne.
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Grande è sempre stato la valenza simbolica della moda. Indumenti e accessori hanno identificato e continuano a identificare culture, religioni, idee politiche, appartenenze sociali. Luoghi, anche. La moda accompagna lo scorrere del tempo e i cambiamenti che ne derivano. Ma è in riferimento alle donne, più precisamente all’empowerment femminile, che probabilmente ha raggiunto la massima capacità espressiva.

Sono diversi i capi diventati iconici. Che hanno segnato una tappa in più nel lungo cammino verso l’agognata emancipazione. Che all’inizio hanno fatto scalpore, per poi – fortunatamente – inquadrarsi nel concetto di “normalità” e lasciare il passo ad altri outfit rivoluzionari. È un po’ come il gioco dei puntini: unendoli con una matita immaginaria, vien fuori la figura di una donna ogni volta nuova. Ogni volta più avanti. Più libera, indipendente, sicura di sé e del proprio valore.

Una donna che è stata aiutata da altre donne, animate non solo da una grande creatività ma anche da una notevole dose di coraggio e lungimiranza; e da uomini in grado di superare preconcetti e luoghi comuni, nella consapevolezza che l’altra metà del cielo non ha nulla di inferiore né limiti di sorta. Anzi.

Allora, facciamo insieme un piccolo viaggio nel passato. Scandito proprio dalle innovazioni fashion più significative a proposito di donne, crescita e progresso.

Paul Poiret e l’addio al corsetto

Per lungo tempo il corsetto è stato tra gli elementi chiave dell’abbigliamento femminile: quello che permetteva di definire la famosa linea a S. Poteva pure risultare accattivante, sì, ma era del tutto innaturale nonché causa di vere e proprie sofferenze fisiche. Il corsetto stringeva la vita fino a farle raggiungere un diametro di 40 cm e anche meno, pensa un po’. Era rigido, ostacolava la respirazione, non di rado danneggiava anche gli organi interni. Una tortura in piena regola insomma. Poi arrivò Paul Poiret.

Parigino, nato nel 1879, è stato il primo stilista moderno e ha dato – sia pur in modo parzialmente inconsapevole - un grande contribuito all’empowerment femminile. Amava i colori, le stampe fantasiose, le asimmetrie. Soprattutto, all’inizio del Novecento ebbe l’ardire di abolire il busto. Sì, il merito è suo, per questo si parla dell’anticorsetto di Poiret. Che liberazione. Lo sostituì con abiti ampi e drappeggiati, tuniche, kimoni e non solo. Affascinato dalla cultura orientale, Poiret creò per le donne occidentali anche i pantaloni alla turca: non ebbero grande successo, anzi da molti furono considerati scandalosi e addirittura erotici, ma rappresentarono un importante seme che presto sarebbe fiorito.

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Le rivoluzioni di Coco Chanel

Non si può parlare di empowerment femminile e moda senza parlare anche di Coco Chanel. Perché, in questo contesto, è stata la figura chiave. Le sue creazioni non hanno soltanto simboleggiato, bensì stimolato il cambiamento delle donne, diventando in molti casi i determinanti punti di partenza. Madamoiselle Coco aveva in mente una donna libera sia fisicamente che mentalmente, consapevole della sua femminilità e del suo fascino, ma anche desiderosa di conquistare la propria indipendenza economica e conquistare un ruolo diverso nella società.

Per lei abolì a sua volta il corpetto e altri fronzoli inutili quanto fastidiosi; “rubò” i pantaloni dal guardaroba maschile, rivisitandoli; ispirandosi alle divise della Marina francese creò lo stile navy, ironico e glam ma anche comodo e pratico; disegnò una giacca – la mitica Giacca Chanel - adatta a tutte le occasioni, perfetta quindi per la giornate da dividere tra famiglia e carriera. E ancora, accorciò le gonne e inventò la borsa a tracolla, per permettere di avere le mani libere. Un gigante, Coco.

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I primi jeans da donna

I jeans hanno una storia secolare, si sa. Ma quando hanno debuttato sul mercato i primi modelli da donna? Nel 1934: fu un’iniziativa firmata Levi’s, più precisamente degli eredi di Levi Strauss. L’idea di partenza è nata pensando alle donne che lavoravano in campagna, nelle fattorie, nei ranch.

Erano ampi, lontani anni luce dai modelli skinny e modellanti; ma presto hanno conquistato anche donne appartenenti a mondi del tutto diversi – pensiamo in primis a Marilyn Monroe – e fatto la loro apparizione nei film. É stata indubbiamente un’altra grande svolta nel segno dell’empowerment femminile.

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Il bikini

Simbolo di una femminilità che esige e merita di essere mostrata, con classe ma senza inutili pudori, il bikini è stato lanciato nel 1946 da un uomo: il sarto francese, nonché ex ingegnere, Louis Réard. Che, per quanto riguarda il nome, fu ispirato dalle Isole Marshall, dove in quegli anni gli americani testavano la bomba atomica.  

Per la presentazione ufficiale Réard scelse Micheline Bernardini, ballerina che si esibiva senza veli al Casino de Paris. In realtà si rivolse anche a diverse modelle, ma nessuna ebbe il coraggio di accettare. Quella pancia scoperta, quell’ombelico al vento fu una provocazione in piena regola; un messaggio di ribellione, una sfida alle imperanti regole sociali che ancora imponevano di occultare il più possibile il corpo della donna. Ovviamente le polemiche non mancarono, ma si trattò comunque un grande successo. Planetario. Grazie anche a dive del calibro di Brigitte Bardot,  Ava Gardner, Sophia Loren, della stessa Marilyn.

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Gli shorts

Hai mai sentito nominare Alice Marble? Americana, classe 1913, è stata una grande tennista. Ma anche la prima a indossare sui campi da gioco un paio di pantaloncini sopra il ginocchio: era il 1933. Alice ha quindi aperto la via agli shorts femminili, anche se trascorsero altri anni prima dello sdoganamento definitivo. E in tal senso il merito va alle pin up degli anni Quaranta e Cinquanta, che indossarono con orgoglio pantaloncini aderenti e decisamente più corti rispetto a quelli della Marble.

Al resto pensarono, ancora una volta, le celebs dell’epoca: come dimenticare gli shorts di Audrey Hepburn e Brigitte Bardot? E quelli di Marilyn Monroe, sì. Che, per quanto riguarda la moda e l’empowerment femminile, ormai è chiaro, ha avuto davvero un ruolo di primo piano.  

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Le minigonne di Mary Quant

La minigonna è stata un vero e proprio giro di boa. Le donne hanno finalmente trovato il coraggio di mostrare le gambe ed essere anche un po’ sfacciate, infischiandosene di giudizi e commenti (e soprattutto dei maschilisti). Meraviglioso. Ma chi l’ha inventata, chi ha tagliato le gonne fino a metà coscia, inaugurando così il nuovo corso?

La risposta più diffusa coincide col nome di Mary Quant, vulcanica stilista britannica nonché perfetta rappresentante della Swinging London: era il 1963 quando nella vetrina dalla sua boutique “Bazaar” in King’s Road apparvero i primi modelli. Che mandarono in visibilio tutte le ragazze, subito. Secondo altri, però, in realtà fu un’intuizione del designer francese André Courrèges. E allora?

La risposta è arrivata dalla stessa Quant: “È stata la strada ad inventare la minigonna”. Furono cioè le sue stesse clienti, ha spiegato, a chiederle di cucire gonne sempre più corte. Perché volevano muoversi più liberamente, ma anche – diciamolo – per una questione di vanità. Beh, il resto è storia.

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Lo smoking di Yves Saint Laurent

Chanel ha dato alle donne la libertà, Yves Saint Laurent il potere”, ha detto nel 2008 Pierre Bergé riferendosi al suo compagno e socio (fondarono insieme l’omonima maison). In effetti il celebre designer algerino decise di percorrere la strada intrapresa da Chanel, ampliandola. Il concetto era ormai chiaro: gli indumenti maschili possono essere anche femminili.

Nel 1966 realizzò Le Smoking, raffinato completo da donna, rafforzando così la concretizzazione dell’empowerment femminile. Androgino sì, ma anche decisamente cool e seducente, perfetto emblema di una donna sicura dei suoi mezzi, da un lato fece scalpore e dall’altro fece subito innamorare. Fra le prime celebs a indossarlo, la sua musa Catherine Deneuve, Bianca Jagger, Liza Minnelli. Doveroso ricordare inoltre che Yves Saint Laurent fu a sua volta acerrimo nemico della vita stretta e il primo anche a creare camicie trasparenti e far sfilare – negli anni Ottanta – modelle di colore.  

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Il wrap dress

Il wrap dress, il mitico abito a vestaglietta incrociato davanti e chiuso da un cinturino. Sensuale, seducente e anche ironico nella sua semplicità. È un’opera di Diane Von Furtsenberg, che nei prolifici anni Settanta contribuì a rinnovare il guardaroba delle donne (non solo americane) definendo anche il concetto di “personalizzazione”, grazie alla possibilità di indossarlo in modi differenti a seconda dei gusti e della propria fisicità.  

Fu subito un trionfo, altro importante tassello di questo affascinante percorso. E ancora oggi, il wrap dress è un granitico must have.

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Giorgio Armani crea la giacca destrutturata

Giorgio Armani non soltanto ha sempre operato in modo da ridurre al minimo le differenze tra gli outfit maschili e quelli femminili, per quanto è stato il capofila della moda gender free. La sua creatività è stata veicolo di un messaggio ben preciso, gli dobbiamo tanto.

Verso la fine degli anni Settanta ha messo a segno un gran bel colpo, inventando la cosiddetta giacca destrutturata. Per la sua donna, cioè, ha stravolto i connotati della classica giacca, abolendo imbottiture e sostegni, cambiando la posizione dei bottoni, mutando la forma delle spalline. Voltando le spalle a quelle linee nette e rigorose che riteneva ormai obsolete: “Ho dato all’uomo la scioltezza e la morbidezza della donna e alla donna l’eleganza e il comfort dell’uomo”.

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Le t-shirt femministe

La comune t-shirt è diventata, a partire dal 1970, una potente arma per il movimento femminista. Quelle lettere stampate hanno dato voce e vigore a una lotta, alle idee, alla sete di diritti e giustizia. Molti gli slogan passati alla storia, che le donne hanno portato in giro per il mondo proprio tramite le loro magliette: da Lavander Menace a The future is female, da I had an abortion a We should all be feminists.

Non sono affatto tramontate, anzi proprio negli ultimi tempi hanno trovato una nuova carica energetica. Se è vero che di strada ce n’è ancora tanta da fare, è anche vero che diversi traguardi fortunatamente sono stati raggiunti. Lo spirito è in parte più sereno, ma sempre propositivo. E non potrebbe essere altrimenti: siamo donne, vietato accontentarsi.  

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Il nesso tra empowerment femminile e moda ti appassiona? Allora potrebbe interessarti saperne di più sulla mostra HABITUS. Indossare la libertà.

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