Fashion culture

Giornata mondiale del velo islamico: accendiamo i riflettori (anche) sulla modest fashion

Moda islamica
01-02-2023
Il 1° febbraio è il World Hijab Day, una ricorrenza nata per far riflettere. E la riflessione può anche partire dalla moda islamica, che si fa appassionante racconto di un'evoluzione in atto.

Il 1° febbraio è il World Hijab Day, la Giornata mondiale del velo islamico. Una ricorrenza nata da un’idea dell’attivista Nazma Khan, bengalese e residente a New York. Lo scopo è quello di invitare le donne, musulmane e non, a indossare per un giorno l’hijab. Mandando così un messaggio forte e chiaro contro le discriminazioni e i pregiudizi. L’argomento è delicato quanto complesso, questa stessa iniziativa trova larghi consensi ma è anche oggetto di polemiche. Di certo, però, rappresenta un importante input per riflettere e approfondire la conoscenza di una realtà che appare ancora troppo lontana da noi. Una realtà che riguarda anche la moda islamica.

Perché sì, riveste un ruolo tutt’altro che secondario. La moda è espressione, non dimentichiamolo. Può quindi contribuire a un cambiamento positivo, soprattutto in riferimento alle donne, e alla creazione di un più forte legame con il mondo occidentale. E la moda islamica è anche molto affascinante. Ti eri mai soffermata su questi aspetti?   

Perché la Giornata del velo islamico  

Nazma Khan è originaria del Bangladesh ma è cresciuta a New York. Nel Bronx, per l’esattezza. Fin da ragazzina ha sperimentato sulla propria pelle cosa significhi essere guardata con diffidenza, insultata e offesa. Isolata. Solo per via della religione e di quel velo che la simboleggia. Ma anziché abbattersi, Nazma ha reagito. Decidendo di credere nella solidarietà. Nel 2013, così, ha lanciato una campagna mirata a coinvolgere le altre donne, non solo musulmane: “Ho pensato che l’unico modo per porre fine alla discriminazione fosse chiedere alle nostre sorelle di provare l’esperienza dell’hijab sulla loro pelle”. L’iniziativa ha avuto successo e si è tradotta, appunto, nel Giornata mondiale del velo islamico. Ma è fondamentale fare una precisazione.  

Contrastare l’islamofobia, Nazma Khan non si stanca di ribadirlo, non significare condannare la religione islamica e i suoi dettami. Il velo, per moltissime donne islamiche, non è affatto una costrizione o peggio ancora una condanna. L’ha ribadito anche di recente in un post su Instagram: “Quando il mondo vuole che creda che il mio hijab sia un simbolo di oppressione, insisto nell’essere un #UnpologeticHijabi. So che il mio hijab è la mia identità musulmana. Quando il mondo mette in discussione il mio intelletto di donna perché ho deciso di informarmi e indossare l’hijab, insisto nell'essere un #UnpologeticHijabi. So che la mia ricompensa è con Allah (SWT). Quando il mondo vuole che creda che il mio hijab sia uno strumento imposto dagli uomini per controllare il mio corpo, insisto nell'essere un #UnpologeticHijabi”. Non si chiede compassione, non si chiede supporto nella ribellione. Ma comprensione e accettazione.

Le donne musulmane amano la moda

Proprio la comprensione e l’accettazione ci conducono anche alla moda islamica. Sai perché? Perché l’immagine delle donne "tristi" con il volto in gran parte celato dal velo, che nascondono anche il resto del proprio corpo sotto una lunga tunica, è uno stereotipo remoto dalla realtà.

Realtà, invece, è che moltissime donne del Medio Oriente adorano la moda. Sono informate sulle tendenze, hanno i loro brand preferiti. Si dedicano allo shopping. E ciò vale a prescindere dal ceto sociale e dallo status. Vogliono sentirsi belle, apparire curate e femminili. Nel rispetto dei limiti imposti dalla loro religione, naturalmente. Hanno quindi imparato che la moda e la “vanità” possono convivere con quegli stessi limiti, che esistono dei compromessi. E lo spirito si fa più leggero.  

Cos’è la modest fashion?

Designer e aziende del settore sono perfettamente consapevoli della passione che le donne musulmane nutrono nei confronti della moda. E la loro risposta è la cosiddetta modest fashion, un fenomeno a tutti gli effetti che non ha nulla di passeggero. Anzi, si tratta di un mercato in costante crescita. Le origini vanno ricercate proprio in Medio Oriente, ma c’è da dire che il contributo del mondo occidentale è tutt’altro che secondario.

In sostanza, la moda modesta è fatta di capi concepiti nel rispetto delle norme coraniche e dimostra come il pudore e la massima sobrietà non vietino di essere glam. Ecco dunque che l’hijab e l’abaya non sono più soltanto neri o bianchi, ma anche caratterizzati da colori più accesi o stampe fantasia. Ecco il guardaroba arricchirsi di tailleur pantalone, gonne alla caviglia ma dall’estetica vivace (anche decorate con paillettes), cappotti di tendenza, trench, persino pantaloni in pelle, felpe, jeans.

Le parti del corpo scoperte restano ridotte ai minimi termini, certo. Ma aumentano gli outfit finalmente sdoganati e si percorrono altre strade per ottenere risultati cool. Anche ricorrendo a palesi strategie, come l’accostamento di tessuti trasparenti a tessuti coprenti. Si rinuncia al sensuale vedo-non-vedo, ma non al fascino di quelle stoffe. E d’altra parte, passano in primo piano gli accessori: le borse, in particolare, consentono la massima libertà. La moda islamica è diventata progressista, ultra creativa; definisce l’immagine di una donna sempre più sicura di sé.

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Lo “scambio” con la moda occidentale

La modest fashion comporta un interessante scambio con la moda occidentale. Perché se da una parte quest’ultima diventa strumento di innovazione e originalità per i designer arabi più intraprendenti e talentuosi (pensiamo a nomi come Elie Saab e Rabih Kayrouz), dall’altra un crescente numero di brand occidentali trova ispirazioni nello stile orientale. Questa è anche l’origine delle Ramadan Collection, cioè collezioni pensate per celebrare il Ramadan e destinate al mercato arabo. La prima – era il luglio 2014 - è stata quella di  Donna Karan New York, poi hanno seguito l'esempio numerosi altri marchi tra cui Zara, H&M, Valentino, Prada, Tommy Hilfiger, Oscar De La Renta. Tutte le fasce di mercato, insomma.

Al 2016 risale Abaya, la prima collezione Dolce & Gabbana per le donne musulmane. Tuniche e veli, sì, ma realizzati con seta nera e pizzo, impreziositi da ricami e ravvivati da quelle allegre fantasie che da sempre contraddistinguono l’arte dei due stilisti siciliani. Una delle più recenti Ramadan Collection porta invece la firma di Louis Vuitton ed è stata lanciata la scorsa primavera: una linea prêt-à-porter tra l’altro connotata dal verde smeraldo (il verde è tradizionalmente associato all’Islam), dalle fantasie pois, dal pizzo sangallo, da slingback e sabot.

Le influencer che posano col velo

La forza racchiusa nella modest fashion trova un’ulteriore dimostrazione nell’ascesa delle influencer islamiche. Ragazze che posano col velo, che vantano folti eserciti di followers, che partecipano a sfilate e usano i social principalmente per sensibilizzare l’opinione pubblica, ma non solo. Per essere se stesse, anche. Una delle più seguite – non solo su IG ma anche su TikTok – è la 24enne Tasnim Ali, romana ma di origini egiziane, che si racconta e racconta l’Islam anche usando le armi dell’ironia e della leggerezza.

Sabina Hannan vive invece a Londra e riesce a far comprendere perfettamente quanto glamour possa essere la modest fashion. Nura Afia e Habiba Da Silva sono beauty vlogger e make up artist lanciatissime; Aya Mohamed è nata in Egitto ma vive a Milano, ha le idee chiare e un volto che trasmette serenità. Sumaia Saiboub è un’anima libera nonché un vulcano (qui la nostra intervista). Tutte mostrano il velo con sommo orgoglio, tutte hanno lo sguardo acceso da sogni e progetti. Tutte sono splendide.

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