Schietta, acuta, brillante e dissacrante Robin Givhan rappresenta uno dei nomi più importanti dell’industria della moda. Fashion editor di fama mondiale e penna di punta di quotidiani e magazine come Vogue, Washington Post, New York Magazine e New Yorker, ha contribuito con il suo punto di vista a trasformare la critica della moda in critica culturale. Ed è propria questa la motivazione che nel 2006 ha portato la commissione del prestigioso Premio Pulitzer ad assegnarle quella che è a tutti gli effetti una delle più ambite onorificenze mondiali in campo giornalistico e letterario.
Un’assegnazione che rappresenta una vera rivoluzione. Infatti per la prima volta nella storia ad essere premiata per la critica è stata una giornalista di moda. La “spina nel fianco dei designer” così come ama definirsi, con le sue osservazioni pungenti, il suo sagace spirito d’osservazione e i suoi ritratti senza compromessi ha plasmato il giornalismo di moda, sfatando i falsi miti e trasformandolo in una lente d'ingrandimento della società del suo tempo attraverso la quale -come la stessa Givhan ha affermato in una recente intervista- la società stessa si riflette e si rivela. Curiose di scoprire di più sui suoi inizi e i suoi attuali progetti? Ecco tutto quello che c’è da sapere sul suo conto!
Robin Givhan la storia di una donna di successo
Nata a Detroit l’11 settembre 1964, la giovane Robin Givhan passa la sua infanzia e la sua adolescenza proprio nella città più grande e popolosa del Michigan. Ed è a Detroit entra in contatto con diverse culture, tradizioni e costumi che contribuiranno ad arricchire, sin da subito, quel bagaglio culturale su cui baserà tutto il suo lavoro di scrittura.
Tenace, controcorrente e con un preciso punto di vista, la giovane Robin è da sempre una fervida lettrice e amante della scrittura e dopo il diploma viene accettata in una delle più prestigiose università americane, la Princeton University dove si laurea in inglese.
Ed è proprio durante gli anni del college che decide che la sua strada sarebbe stata quella del giornalismo. Quindi torna in Michigan prende un master in giornalismo e inizia a cercare insistentemente la sua personale nicchia in cui specializzarsi. Ama scrivere di cultura generale e decide quindi di approfondire ed esplorare a 360° un argomento culturale in particolare: la techno emergente di Detroit e la scena musicale rave. Da lì il resto è storia recente.
Diventa la penna di punta del Detroit Free Press che lascerà dopo oltre 7 anni, scrive editoriali critici e diretti sulla scena fashion americana approdando su Vogue, New York Magazine e Harper's Bazaar. Il suo stile è estremamente riconoscibile, i suoi ritratti sono onesti, schietti e senza zone d’ombre e i suoi lavori colpiscono anche la Casa Bianca.
La moda come simbolo di potere
Hillary Clinton, Dick Cheney, Michelle Obama, le osservazioni pungenti di Robin Givhan non risparmiano proprio nessuno. Fermamente convinta del fatto che i vestiti siano simbolici ha riservato critiche sulle scelte fashion di grandi nomi della politica americana affermando che:
La moda può essere uno strumento indispensabile per trasmettere un messaggio
Robin Givhan
E che quindi debba essere dosata in maniera quasi scientifica perché un capo sbagliato potrebbe trasmettere un messaggio distorto.
Un punto di vista presente seppur in maniera più sottile anche in quello che è diventato ben presto un best seller. Nel 2015 scrive infatti The Battle of Versailles: The Night American Fashion Stumbled into the Spotlight and Made History, un libro incentrato sulla storica sfilata svoltasi nella Reggia di Versailles nel 1973 alla quale parteciparono alcuni tra i più grandi stilisti di sempre.
Contribuisce poi alla stesura di Michelle: Her First Year as First Lady e alla scrittura delle didascalie per il libro del fotografo Lucian Perkins "Runway Madness". Ben prima dei nomi dell’attuale critica fashion digitale, da Diet Prada a Bliss Foster, da Pam Boy a HauteLeMode, Robin Givhan è riuscita a capire l’importanza del monitoraggio dei progressi nel mondo della moda in quanto specchio della società e della sua evoluzione.
La passerella come ispirazione
Attuale senior critic-at-large presso il Washington Post è da sempre una sostenitrice convinta del fatto che le passerelle abbiamo un compito specifico, ovvero quello di ispirare chi le osserva:
La mia opinione personale sulla passerella è che dovrebbe essere usata per portare il pubblico in un mondo fantastico che è possibile, ma non probabile. Dovrebbe deliziare e ispirare
Robin Givhan
Ispirare soprattutto cambiamenti positivi verso tematiche come l’inclusività e la giustizia razziale. Tematiche nei confronti delle quali auspica da sempre un investimento reale del mondo del fashion business. Un investimento che possa porre le basi per una vera trasformazione culturale a lungo termine.
A questo proposito, celebre è il suo attacco al colosso Prada nell’articolo sul Washington Post dal titolo: Seriously, Prada, what were you thinking?: Why the fashion industry keeps bumbling into racist imagery, a seguito dell’esposizione in alcune vetrine newyorkesi del brand, di oggetti che ricordavano un Golliwog, la tipica caricatura degli afroamericani molto comune nel XIX secolo.
Osservatrice acuta e penna tagliente, Robin Givhan ha dimostrato che la critica giornalistica, non può prescindere dall’avere un’opinione ben definita, un punto di vista solido da condividere senza timori con onestà intellettuale. Una voce autorevole che diventi al contempo portavoce dei lettori:
Penso a me stesso come agli occhi, alle orecchie e alla voce del lettore
Robin Givhan
Occhi, orecchie e voce che hanno dato e continuano a dare, oggi come ieri, un contributo speciale al mondo della moda e della cultura.