A sigaretta, palazzo, a zampa, flared, in denim o in mille altri tessuti. E poi molto oltre: le vie dei pantaloni sono infinite. E non potremmo mai fare a meno di questo capo così versatile; vale anche per chi, in linea di massima, preferisce le gonne. Ma tu conosci la storia dei pantaloni? Le origini ci portano fino alla notte dei tempi, le evoluzioni ci guidano in un viaggio appassionante e per molti versi sorprendente. Allora facciamolo insieme, questo viaggio!
In principio erano le brache
Hanno fatto il loro ingresso nel guardaroba femminile da un bel po’, tuttavia restano il capo di abbigliamento maschile per eccellenza. E a lungo sono stati simbolo dell’orgoglio e della predominanza virile. Ma perché i pantaloni si chiamano così? Ci sono diverse ipotesi; secondo la più accreditata, questo termine deriva dalla celebre maschera veneziana Pantalone e si è diffuso alla fine del Settecento.
L’inizio della storia dei pantaloni, invece, ci conduce molto più indietro nel tempo. Prima ai Persiani. Poi ai barbari: i popoli del Nord – Celti, Germani, Galli – indossavano le brache, ovvero pezzi di panno o pelle conciata fissati intorno alle gambe tramite lacci e tenute in vita da cinture di cuoio. Avevano scoperto che, in questo modo, cavalcavano più comodamente e stavano più caldi. Dopo un’iniziale diffidenza, anche gli antichi Romani hanno seguito il loro esempio e le brache sono diventate di uso comune in gran parte dell’Impero. Durante la loro grande espansione e opera di conquista, i soldati romani hanno anche scoperto i pantaloni dei cavalieri persiani, realizzati in cuoio con raffinate tecniche sartoriali e finemente decorati.
Dalle brache alle culottes
Nel Medioevo le brache si sono diffuse in tutta l’Europa occidentale, diventando emblema della padronanza virile. Gradualmente dunque, ecco entrare in scena altri modelli di pantaloni. A cominciare dalle cosiddette calzesolate, attillate e dotate (appunto) di suole. Le antenate dei leggings, possiamo considerarle così. Arrivavano all’inguine per poi collegarsi al farsetto per mezzo del braghere; spesso le due gambe erano di colore nettamente diverso. Nel XIV secolo qualcuno ha poi inventato la brachetta o braghetta, un triangolo di tessuto che copriva i genitali, cucito tra le braghe e chiuso da asole.
Nel Cinquecento la braghetta ha assunto la forma di un astuccio penico e conico, sfacciato e non di rado imbottito: chiaro simbolo di virilità. Tramontate le calzesolate, fino al Seicento le brache sono state interpretate secondo i più svariati design; per esempio con gambe a sbuffo o larghissime, attillate oppure a pera. E poi, alla fine del Settecento, alla corte francese hanno fatto il loro debutto le culottes. Pantaloni aderenti, dotati di tasche, lunghi fino al ginocchio. Da indossare sopra le calze di seta. Le culottes potevano essere in velluto, in raso damascato, in jersey di seta, a tinta unita o arricchite da inserti preziosi. Poi sono stati utilizzati anche altri materiali, tra cui il panno di lana e la pelle di daino.
Pantaloni e cambiamenti
Sanculotti: così, nella Francia di fine Settecento, gli aristocratici definivano – con disprezzo – i popolani. Perché erano sans-culottes (senza culotte), e indossavano invece pantaloni lunghi fino alle caviglie e larghi, in tela ruvida, con patta e bottoni. Tenuti su dalle bretelle. Il termine in questione ha poi identificato i rivoluzionari.
Se fino al primo ventennio dell’Ottocento le culottes bianche sono comunque rimaste un capo essenziale tra il ceto alto, d’obbligo nelle occasioni ufficiali, gradualmente i più giovani e progressisti hanno cominciato a preferire proprio i modelli più lunghi. Quelli con gamba dritta, insieme al frac o alla redingote, nel corso di quello stesso secolo sono diventati una sorta di divisa per la borghesia. Nel 1843, intanto, il sarto britannico Humann ha ideato l’apertura sulla parte anteriore, coperta da una lista dello stesso tessuto con cui venivano confezionati i pantaloni. Un bel salto in termini di praticità.
Altre evoluzioni
Poi sono arrivati i quattro buchi e i corrispondenti bottoni; sostituiti, nella seconda metà del Novecento, dalla cerniera lampo. Proprio i britannici, in generale, hanno un ruolo importante nella storia dei pantaloni. Edoardo VII, prima principe di Galles e dal 1902 re d’Inghilterra, ha lanciato la moda del risvolto (per gli outfit daily) e consolidato l’etichetta a proposito di calzoni. Il “trittico” giacca-pantaloni-gilet è diventato un must, come la piega perfetta al centro di ogni gamba dei pantaloni stessi.
Giacca finanziera e pantaloni grigi componevano il completo formale, ma col tempo hanno assunto importanza anche le mise per praticare sport. La giacca Norfolk è stata affiancata dai knickerbockers, pantaloni chiusi sotto il ginocchio da una fascetta e due bottoni oppure una fibbia in metallo. Comodissimi per andare in bicicletta, a caccia e a peca, per giocare a golf e persino scalare montagne. La versione americana, più lunga di quattro pollici, si chiamava plus-fours. Sempre nel corso del Novecento, d’altra parte, si sono affermati i pantaloni in lino bianco con gamba dritta e (non troppo) larga: indispensabili per gli yacht man.
I pantaloni militari
Proseguiamo il nostro viaggio alla scoperta della storia dei pantaloni. Quelli militari sono un universo da esplorare e sono sempre stati prolifiche fonti d’ispirazione per il mondo della moda. Basti pensare ai modelli alla zuava, indossati durante la Prima guerra mondiale e poi diventati fenomeno di costume; ai jodhpurs della cavalleria britannica e ai cargo, progettati per l’esercito britannico a ridosso della Seconda Guerra Mondiale e oggi indiscussi pezzi iconici dello street style.
Donne e pantaloni
Un’evoluzione costante quanto interessante, quella dei pantaloni. E le donne non potevano mica restare a guardare, ovvio! Con costanza e determinazione, si sono aggiudicate il diritto di indossarli a loro volta. Riuscendo anche a renderli simbolo dell’emancipazione (e poi dell'empowerment) femminile. Già nell’Ottocento, più di qualcuna indossava knickerbockers per andare in bicicletta.
Ma una grande svolta è arrivata grazie a Elizabeth Smith Miller (1822-1911) e Amelia Bloomer (1818-1894). La prima, praticamente, ha inventato i pantaloni da donna. Un bel giorno era alle prese con il giardinaggio e ha deciso di sostituire lo scomodo abito lungo con un paio di pants alla turca, ampi e lunghi fino alla caviglia. Poco tempo dopo l’attivista ed editrice Amelia Bloomer, sua amica, ha pubblicato un articolo su questa grande novità. E i pantaloni in questione sono stati ribattezzati Bloomers. Scandalo! Ma le donne non hanno mai neppure pensato di fare un passo indietro.
Anzi, già dagli anni Venti era tutt’altro che raro vedere donne coi pantaloni; ai tempi li portavano soprattutto per affrontare i lavori più pesanti. In fabbrica o nei campi. Per quelle più ricche e fashion, invece, si trattava di un vero e proprio trend. Destinato a diventare un must, a prescindere dal ceto sociale. In tal senso dobbiamo essere eternamente grat* a Coco Chanel, che nella sua rivoluzione del guardaroba femminile – specchio di un’evoluzione a 360 gradi – ha scommesso, appunto, anche sui pantaloni: larghi, comfy e a vita alta.
Negli anni Sessanta, invece, Yves Saint Laurent ha creato lo smoking da donna. Un altro tassello fondamentale. E proprio negli anni Sessanta questo capo è finalmente diventato la normalità per l’altra metà del cielo. E anche per la moda la strada si è fatta in discesa, come testimoniano le infinite interpretazioni dei pantaloni. Pensiamo anche soltanto al connubio jeans e donna; agli irrinunciabili modelli a zampa degli hippie, assolutamente unisex. Oppure ai tailleur delle donne in carriera degli anni Ottanta. Mai tramontati, anzi!
Il capo più democratico
Unisex, dicevamo: forse è proprio questo il più grande punto di forza dei pantaloni. Il capo più democratico in assoluto, insieme al cappotto. Ma sono anche camaleontici, stilisticamente parlando. E sono comodi, pure questo va ribadito.
La storia dei pantaloni, per moltissimi versi, è la storia dell’umanità. Un simbolo, sì. Plurimo. Perché hanno identificato generazioni, categorie, codici estetici, sottoculturali giovanili. Status sociali. Facevamo cenno ai jeans degli hippie; pensa anche ai pantaloni in pelle dei rocker e degli “harleisti”, ai baggy pants dei cantanti hip hop e degli skaters, ai modelli skinny dei punk. E potremmo continuare a lungo. In questo momento storico vanno per la maggiore i pantaloni dai volumi ampi, ma d’altra parte ci sono i grandi classici che non temono tramonti. Si tratta solo di scegliere, dunque esprimersi a colpi di outfit. Lunga vita ai pantaloni!